martedì 13 novembre 2007

Sangue e Merda e Il Monolito Nero

Eravamo rimasti alla partenza per Safranbolu.
Safranbolu è un buco di cittadina nominata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Per le case ottomane. Di cui ovviamente non ci fotte una mazza.

La nostra personalissima mappa prevede la piazzetta dove arrivate e parcheggiate in quarta fila di fronte al poliziotto locale. Semo italiani arkadascio. Lui sorride e ci fa intendere don’t worry be happy. Sarà ma non mi fido.

A centro piazza la moschea con minareto, fondamentale per questioni di orientamento. Alla sinistra l’Hamam del 1500 unico luogo dove è possibile lavarsi se come noi vi fiondate nella casa ottomana più economica. Che è anche la più storta. Che è anche la più polverosa. Girandovi a destra incontrate prima i cessi pubblici, Mecca del trasfertista, e di seguito l’unico ristorante all’apparenza decente della zona. Muovendovi a casaccio per cinque minuti farete tappa dal gelataio, in pasticceria (che è poi il vero motivo per il quale sto posto è patrimonio universale della galassia), dal barbiere se cercate emozioni forti e un’epatite fulminante e infine nel baretto con posti all’aperto in cui la sera farete conoscenza con quattro ubriaconi locali che suonano e cantano il Sirtaki e la Tarantella.

Partiamo immediatamente alla ricerca di Jin. La tattica consiste nell’abbordare quante più possibili donzelle locali apostrofandole con parole ardite – Hi mi italian ndo cazz is Jin?. Siamo sfigati. Ci vogliono ben dieci tentativi prima che la turca di turno risponda con un gancio destro alla mascella del Guru. Poi ci vomita addosso una serie di parole incomprensibili da cui Disadatted estrapola che a) sì conosce quel bastardo b) le aveva promesso una vacanza a Amasra lasciandole un wallpost su Facebook c) sì conferma che è proprio un gran bastardo. Aggiungiamo che d) il Guru sotto shock abbozza un ma che cazzo mica puoi essere così ingenua e chiudiamo con e) la tipa lo finisce con il suo montante sinistro.

Lasciando il Guru sanguinante sul selciato ci confrontiamo rapidamente e decidiamo che ragazzi la prossima tappa ha da essere Amasra, che almeno vediamo il mare, e che dopotutto non c’è mica tutta sta fretta almeno godiamoci in santa pace questo posticino fuori dalle rotte dei turisti italiani.
Le sirene della polizia sulla via principale segnalano l’arrivo dello Chef. Cinque minuti e ci raggiunge dopo aver seminato la Renault4 in forza agli sbirri locali.

Dobbiamo assolutamente festeggiare il ricongiungimento. E’ un’usanza. Raccattiamo quel che rimane del Guru e ci dirigiamo in formazione aperta verso la Mecca accompagnati da musiche di Ennio Morricone.

La Mecca è perfetta. Prevede esattamente numero sei turche sprovviste di carta igienica e dotate di secchiello da riempire d’acqua con apposito rubinettino. Che qualcuno poi mi spiegherà un giorno a che cazzo serve sto secchiello. Nel mio taccuino finora sono due i possibili usi. Il primo più grossolano è la pulitura del loculo nel caso in cui abbiate mancato il buco disegnando affreschi sulla parete posteriore. Il secondo, più fino, è quello di farlo diventare il vostro improvvisato bidè. Si attendono suggerimenti.

Beh comunque ci accomodiamo e dopo cinque secondi si cominciano a contare i rumori liquefatti dei nostri eroi. Qualcosa di simile a quando la tipa del McDonalds immerge la palettina nel ghiaccio per riempire tre quarti del vostro bicchiere di Pepsi. Uno Due Tre Quattro Cinque e…
E qui scatta il minuto di silenzio. Perché tutti si chiedono E il Sestooo? Ma al posto del sesto giunge la voce in falsetto del Trottola – Sìììì grazie Signore sì sì sì lode a te.

E’ il momento tanto atteso. Ci si catapulta fuori dalla propria postazione inciampando nei boxer se, come Chef, ve li tenete alle caviglie oppure saltellando con l’uccello ballonzolante se, come Pusher, preferite denudarvi completamente.
Commentare non è opzionale, è Bon Ton.
Santo – Dio che bel colorito!
Guru – E senti che profumino delizioso!
Pusher – Non avrei saputo fare di meglio!
Chef – Quanto pesa?
Dis – Fratelli mi associo stavolta. Come lo chiamiamo?

E’ l’arrivo del Monolito Nero. E’ la svolta epocale. Indica il momento in cui il gruppo si è completamente integrato col paese ospitante. Il passaggio dallo status di straniero a quello di residente avente diritto al passaporto. Altro che stupida scimmia Kubrickiana che impara l’uso della mano per uccidere il prossimo. Bazzecole.
L’evento va condiviso. E in un momento di estasi invitiamo la malcapitata guardiana dei bagni ad unirsi a noi. Ma la babbiona ci sorprende esclamando The Black Monolite! Ciok Ghiusél (qualcosa del tipo ammazza che spettacolo, bellissimo). Ha un evidente passato da metalmeccanica.

Raccogliamo la reliquia e la riponiamo nell’apposito contenitore sottovuoto per caffè comprato allo Starbucks.
Usciamo tenendoci per mano e cantando l’inno di Mameli. Nemmeno l’assenza della macchina e il dito medio alzato del poliziotto possono rovinare quest’attimo di gioia immensa.

Fratelli d’Italia. Fratelli di Turchia.
Make Shit Not War.

2 commenti:

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Anonimo ha detto...

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